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Banche bergamasche: cade l’ultimo baluardo

Come sono ormai lontani i fasti dei primi anni ’60, quando in terra bergamasca si raccoglievano i frutti copiosi di una rete di banche locali nate nella seconda metà del 1800: ricordo la Banca Popolare di Bergamo, la Banca Piccolo Credito Bergamasco, la Banca Provinciale Lombarda feudo dei Pesenti, la Banca Commissionaria Villa, la Banca Cooperativa Diocesana, tanto per citarne alcune.

Banche strettamente legate al territorio, un rapporto di stima e di fiducia che legava il banchiere ed i suoi dipendenti bancari ai loro clienti, spesso anche amici e compaesani, contratti scritti con la penna d’oca dell’onorabilità, ma soprattutto un fine comune: il sostegno al lavoro ed al territorio, l’aiuto al piccolo commerciante, all’artigiano, alle famiglie umili ed ai modesti investitori.

Si dice oggi che le Banche prestino denari a chi dimostri di non averne bisogno ed in effetti questa è l’attuale filosofia del commerciante in denaro e titoli di credito, ormai più vicino ai grandi capitali, alle finanziarie multinazionali, ai gestori mondiali di fondi sovrani, alle grandi fortune parassitarie che all’umile cliente, alla famiglia di consumatori, ai titolari di piccoli mutui o modesti risparmi.

Di quelle Banche, delle quali si sono perse le antiche denominazioni insieme con le figure storiche di dirigenze aperte ed illuminate, via via cadute sotto i colpi di una presunta modernità introdotta con le economie di scala e con un’insana politica di aggregazioni e di concentrazioni voluta dalla finanza imperante collusa con una politica senza scrupoli, poco o nulla è rimasto soprattutto in tema di identità con il territorio e di rapporti umani.

Prima della Banca Popolare di Bergamo, l’ultima istituzione cittadina a cadere in mani “estranee” è stato il Credito Bergamasco, acquisito diversi anni fa dal francese Crédit Lyonnais e successivamente dalla Banca Popolare di Verona, entrando così a far parte del nuovo gruppo “Banco Popolare”: le sedi centrali delle due banche sono così divenute sedi periferiche, con potere effettivo decisamente limitato.

Il 9 aprile 2021 è una giornata storica per l’UBI Banca, erede della Banca Popolare di Bergamo, fondata a Bergamo nel 1869 ed incorporata in UBI nel 2017: infatti l’assemblea dei soci ne ha celebrato la “cerimonia funebre”, approvandone l’ultimo bilancio e consegnandola di fatto al gruppo bancario Intesa Sanpaolo.

La gestione 2020 si è chiusa con un utile dell’operatività corrente, prima delle imposte, di 435,2 milioni, pari a 254,7 netti. Il risultato viene ritenuto di «ampia soddisfazione» in considerazione della situazione congiunturale, ed è stato conseguito grazie alla rete distributiva di Ubi, che ha saputo svolgere, anche in tempi di pandemia e durante la preparazione dell’integrazione con Intesa Sanpaolo, una forte azione di supporto alle esigenze della clientela, garantendo nel contempo la continuità del servizio.

Secondo Paolo Grandi, presidente uscente di Ubi Banca, «l’acquisizione di Ubi Banca da parte di Intesa Sanpaolo è stata una delle operazioni più importanti degli ultimi anni a livello internazionale»: peccato che con questa operazione Bergamo abbia perduto l’ultimo dei suoi antichi baluardi, rendendo concreto ed inevitabile il declino di un rapporto quasi identitario fra territorio, banchiere e ciascuno dei suoi clienti.

Sabato, 10 aprile 2021

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